IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza sui ricorsi nn. 1229 e 1947
 del 1990 proposti dal sig. Giuseppe  Brasca  rappresentato  e  difeso
 dall'avv.  Renato  Recca presso il quale e' elettivamente domiciliato
 in Roma, piazza Prati degli Strozzi n. 31 come da procura speciale al
 rogito notaio Edmondo Milozza rep. n. 128896 del 23  aprile  1991  in
 atti contro il Ministero del tesoro, ragioneria generale dello Stato,
 in  persona  del  Ministro del tesoro pro-tempore e, limitatamente al
 ric. n. 1947 del 1990 contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri
 dipartimento  della  funzione  pubblica   in   persona   del   legale
 rappresentante  pro-tempore  costituiti  in  giudizio  col patrocinio
 dell'avvocatura generale  dello  Stato  presso  cui  sono  per  legge
 domiciliati; per l'annullamento:
       a)   ric.   n.   1229/1989:  del  provvedimento  "in  corso  di
 perfezionamento" comunicato il 13 marzo 1989 con nota prot. n. 62517,
 datata 10 novembre 1968, con il quale viene disposto il  collocamento
 a  riposo del ricorrente per raggiunti limiti di eta' con effetto dal
 1 novembre 1989;
       b) ric. n. 1947/1990:
       1) del provvedimento  19  aprile  1990,  n.  29518,  comunicato
 all'interessato  il  20 aprile 1990, con cui il Ministero del tesoro,
 ragioneria generale dello Stato ha  respinto  un'istanza  del  Brasca
 diretta ad ottenere la riammissione in servizio;
       2)  della  circolare  3  aprile  1990  n.  48509,  con  cui  il
 Dipartimento per la funzione pubblica ha, tra l'altro,  ritenuto  che
 destinatari   dell'art.  1,  comma  4-quinquies,  d.-l.  n.  413/1989
 convertito in legge n. 37/1990, siano i dirigenti civili dello Stato,
 "in servizio alla data di entrata in vigore del d.-l. n. 413/1989 (31
 dicembre 1989)";
       3) di ogni altro atto antecedente, contestuale, successivo, e/o
 comunque connesso;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'Amministrazione
 intimata;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita alla pubblica udienza del 9 maggio  1991  la  relazione  del
 consigliere  Chiarenza  Millemaggi Cogliani e udito, altresi', l'avv.
 Recca;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    1. - Il dott. Giuseppe Brasca, nato a Vibo Valentia  l'11  ottobre
 1924, ha impugnato con un primo ricorso (notificato il 12 aprile 1989
 e  depositato  il  successivo 6 maggio) il provvedimento "in corso di
 perfezionamento" comunicatogli il 13 marzo 1989  con  nota  prot.  n.
 62517   del   10   novembre  1988,  col  quale  l'amministrazione  di
 appartenenza (Ministero del tesoro, ragioneria generale dello  Stato)
 ha disposto il suo collocamento a riposo per raggiunti limiti di eta'
 con effetto dal 1 novembre 1989.
    Premesse  talune  notazioni sulla normativa vigente al tempo della
 immissione in ruolo (1 luglio 1953) e quella sopravvenuta nel  tempo,
 il   ricorrente   lamenta   che  nei  suoi  confronti  abbia  trovato
 applicazione l'art. 4, primo comma, del testo unico 29 dicembre 1973,
 n. 1092, in forza del quale, appunto, e' stato collocato a riposo dal
 primo  giorno  del  mese  successivo  a  quello  del  compimento  del
 sessantacinquesimo anno di eta', nonostante il mancato conseguimento,
 a tale data di quaranta anni di servizio effettivo.
    Il provvedimento in questione sarebbe illegittimo per violazione e
 falsa  applicazione  di  legge  (primo  motivo),  violazione  e falsa
 applicazione del potere  organizzatorio  di  cui  all'art.  97  della
 Costituzione  (secondo  motivo),  violazione  di  diritto  quesito  e
 disparita' di trattamento (terzo motivo).
    Con  il  primo  motivo di impugnazione il ricorrente prospetta una
 lettura dell'art. 4 del testo unico  n.  1092/1973  (terzo  e  quarto
 comma) in relazione all'art. 4 della legge 15 febbraio 1958, n. 46, e
 del   precedente  testo  unico  del  1895  (vigente  al  tempo  della
 assunzione in servizio) in forza della quale  si  rinverrebbe,  nella
 vigente  normativa il principio secondo cui il dipendente statale che
 non abbia compiuto il periodo massimo di permanenza  in  servizio  vi
 debba  essere  mantenuto  anche oltre il raggiungimento del limite di
 eta' onde consentirgli di realizzare il tetto massimo del trattamento
 pensionistico.
    Il secondo ed il terzo motivo  pongono  invece,  subordinatamente,
 argomenti   volti   a   sostenere   la   questione   di  legittimita'
 costituzionale degli artt. 4 della legge 15 febbraio 1958, n. 46 e  4
 del  testo  unico  29  dicembre  1973,  n.  1092,  nella parte in cui
 escludono dal diritto a rimanere in  servizio  oltre  il  limite  del
 sessantacinquesimo anno di eta' e fino al raggiungimento dei quaranta
 anni  di servizio effettivo e non oltre il settantesimo anno di eta',
 il personale di ruolo alla data di entrata in vigore della  legge  15
 febbraio 1958, n. 46 e del testo unico 29 dicembre 1973, n. 1092, per
 contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione.
    All'esito  favorevole del giudizio della Corte costituzionale, cui
 si   chiede   che   gli   atti   vengano    rimessi,    conseguirebbe
 l'illegittimita'   riflessa  del  provvedimento  impugnato  e  quindi
 l'annullamento per tali motivi, del provvedimento medesimo.
    Il  potere  del  legislatore  di  organizzare  i  pubblici  uffici
 incontrerebbe  il  limite  fissato dall'art. 97 della Costituzione il
 quale non consentirebbe che solo per talune categorie di dipendenti e
 non per altri sia annesso il beneficio della permanenza  in  servizio
 oltre  il  limite di eta' quando una legge sopravvenuta muti il tetto
 anagrafico  di  permanenza  in  servizio,  e  cio'   anche   per   la
 considerazione  che  tale  beneficio  sembrerebbe  rispondere  ad  un
 principio   acquisito   dall'ordinamento,   come   emergerebbe    dal
 diffondersi della normativa con tale contenuto (art. 6 della legge 30
 maggio 1964, n. 336, art. 15 della legge 30 luglio 1973, n. 777, art.
 6  della  legge  26  febbraio  1982, n. 54 - secondo motivo). D'altra
 parte,  la  circostanza  che  il  beneficio  si  riconosca  a  talune
 categorie  di  personale,  colloca  fra  i  diritti quesiti quello al
 mantenimento di un determinato regime ai fini  del  trattenimento  in
 servizio, e determina disparita' di trattamento al danno di quanti di
 tale beneficio non fruiscano (terzo motivo).
    2.  -  Con  atto  notificato  il  6  giugno  1990  e depositato il
 successivo 12 giugno, il medesimo ricorrente impugna il provvedimento
 con cui e' stata respinta la  sua  istanza  diretta  ad  ottenere  la
 riammissione  in  servizio  e  la  circolare  meglio  specificata  in
 epigrafe con cui il Dipartimento per la  funzione  pubblica  ha,  tra
 l'altro, ritenuto che destinatari dell'art. 1, comma 4-quinquies, del
 d.-l.  n.  413/1989,  convertito  in  legge n. 37/1990 fossero i soli
 dirigenti civili dello Stato in servizio  alla  data  di  entrata  in
 vigore del d.-l. n. 413/1989.
    A sostegno dell'impugnazione si deduce:
      1)   violazione   e   falsa   applicazione  dell'art.  7,  comma
 4-quinquies, del d.-l. n. 413/1989 convertito in legge n.  37/1990  e
 contraddittorieta' della circolare in epigrafe.
    Sostiene  il  ricorrente  che la locuzione che fissa la decorrenza
 della norma invocata "dalla data di entrata in vigore"  del  decreto-
 legge  de  quo  (e cioe' 31 dicembre 1989) non starebbe a significare
 che destinatari della norma siano i soli dirigenti ancora in servizio
 alla data anzidetta, occorrendo, invece che il dirigente  sia  ancora
 in  condizione  di  prestare  il servizio a tale data (anche mediante
 riassunzione) in modo da raggiungere il massimo della pensione (o  il
 settantesimo anno di eta').
    Una   diversa  interpretazione  della  disposizione  perpetuerebbe
 infatti una situazione di disparita' di trattamento fra dipendenti in
 posizione  analoga.  Peraltro  la  questione  assume  rilievo   nella
 fattispecie  in  cui  l'interessato  non  ha prestato acquiescenza al
 collocamento a riposo proponendo il ricorso di cui prima si e' detto;
 fra l'altro si verte in una situazione in cui  l'interessato  non  ha
 provveduto  al  riscatto  degli  studi  universitari  e  del servizio
 militare  per  cui  non  sussisterebbero   ostacoli   e   preclusioni
 all'applicazione della normativa;
      2)  violazione  dell'art.  131  del  t.u. 10 gennaio 1957, n. 3.
 Nella specie risulterebbe altresi' violata la norma  sopracitata  per
 la  considerazione  che  vacante  il  posto,  non  si  sarebbe potuto
 esprimere il diniego alla riassunzione senza aver prima acquisito  il
 parere del consiglio di amministrazione;
      3)  su  entrambi  i  ricorsi  e' stata respinta dal tribunale la
 domanda incidentale di sospensione;
      4) l'amministrazione si e' costituita in giudizio per  resistere
 ad entrambi i ricorsi;
      5)  per  completezza  espositiva  va  infine  soggiunto  che per
 entrambi i ricorsi all'interessato ha variamente mutato il difensore,
 procuratore legale, ed il domicilio, risultando da ultimo,  difeso  e
 rappresentato dall'avv. Renato Recca con studio in Roma, piazza Prati
 degli Strozzi n. 31 ed ivi elettivamente domiciliato, come da procura
 speciale  in notar Edmondo Milozza rep. n. 128896 del 23 aprile 1991,
 in atti;
     6) con memoria 27 aprile 1991 unica per entrambi  i  ricorsi,  il
 nuovo   difensore  costituito  ha  altresi'  sollevato  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 4-quinques, del  d.-l.
 n.  413/1989  convertito  dalla legge n. 37/1990 per violazione degli
 artt. 3, 36 e 97 della Costituzione chiedendo altresi' l'affermazione
 del diritto dell'attuale ricorrente a permanere in servizio  fino  al
 raggiungimento del quarantesimo anno di servizio.
                             D I R I T T O
    1.  -  Pregiudizialmente  il  collegio ritiene di dover consentire
 alla riunione dei ricorsi, richiesta dal ricorrente in considerazione
 delle connessioni oggettive che si rinvengono nelle due controversie.
    2. - Va quindi precisato che il dott. Giuseppe  Brasca,  dirigente
 superiore  della ragioneria generale dello Stato e' stato collocato a
 riposo anteriormente alla entrata in  vigore  della  legge  28  marzo
 1990,  n.  37,  che,  in sede di conversione, ha introdotto l'art. 1,
 comma 4-quinquies, al d.-l. n. 413/1989, ed ancor prima  anche  della
 entrata in vigore del citato decreto (31 dicembre 1989) e cioe' a far
 tempo   dal   1   novembre   1989,   a  seguito  del  compimento  del
 sessantacinquesimo anno di eta'. E  pero',  all'atto  di  entrata  in
 vigore  della  nuova  normativa la questione era sub indice per avere
 l'interessato gia' proposto impugnazione contro il provvedimento  "in
 corso" comunicatogli con nota 13 marzo 1989.
    Successivamente,   il   medesimo   ricorrente,   alla  luce  della
 sopravvenuta normativa ha fatto istanza tempestiva di riammissione in
 servizio per fruire  del  trattenimento  fino  al  conseguimento  del
 quarantesimo  anno  di  servizio  (e  non  oltre  il  compimento  del
 settantesimo anno di  eta')  con  cio'  provocando  il  provvedimento
 negativo oggetto del secondo ricorso.
    3.  -  Cosi' riassunta sinteticamente la vicenda in fatto, osserva
 il collegio che,  allo  stato  della  normativa  vigente,  del  tutto
 ultroneo  e fuorviante e' il riferimento al r.d. 21 febbraio 1895, n.
 70, espressamente abrogato (come anche fatto notare dalla  resistente
 amministrazione)  dall'art.  254 del testo unico 29 dicembre 1973, n.
 1092, in forza del quale risultano anche  espressamente  abrogate  le
 successive  modificazioni  e  integrazioni del t.u. del 1895 cit., il
 r.d.  22  aprile  1909,  n.  229  e  le  relative   modificazioni   e
 integrazioni,  nonche'  "tutte le altre norme relative al trattamento
 di quiescenza dei dipendenti civili e militari  dello  Stato  vigenti
 alla  data del 21 dicembre 1973, salve le disposizioni richiamate dal
 presente testo unico".
    Quanto al correttivo previsto  dall'art.  4,  primo  comma,  della
 legge  15  febbraio  1958,  n.  46, esso aveva (come sempre ricordato
 dall'amministrazione)  una  valenza  molto  limitata  nel  tempo  (un
 quinquennio  dalla  data di entrata in vigore della legge medesima) e
 pertanto non se ne possono desumere ne' la volonta'  del  legislatore
 di  fare  salve  - in maniera generalizzata - "aspettative" sorte nel
 previgente regime, ne', a maggior ragione,  argomenti  interpretativi
 dell'art.  4, terzo comma, del t.u. n. 1092/1973 tali da far ritenere
 applicabile, all'attuale ricorrente, una normativa diversa da  quella
 di cui l'amministrazione ha inteso fare applicazione.
    Peraltro,  la  formula  normativa e' ben chiara, nel precisare che
 "gli impiegati civili di ruolo e non di ruolo sono collocati a riposo
 al compimento del sessantacinquesimo anno  di  eta'  (art.  4,  primo
 comma, del t.u. n. 1092/1973)" cosi' come e' puntuale nello stabilire
 le  eccezioni  alla  regola  generale  dianzi espressa (art. 4, terzo
 comma, del t.u. cit.).
    Altrettanto e' da dire della nuova  normativa  che  ha  esteso  ai
 dirigenti  civili  dello  Stato  le  disposizioni  che  consentono al
 personale  della  scuola   di   rimanere   in   servizio   oltre   il
 sessantacinquesimo  anno  di eta' e fino al raggiungimento del numero
 di anni  di  servizio  richiesto  per  conseguire  il  massimo  della
 pensione  e  non  oltre il settantesimo anno di eta' (legge 30 luglio
 1973, n. 477, art. 15).
    In particolare, con riguardo a  quest'ultima  normativa  (art.  1,
 comma  4-quinquies del d.-l. 27 dicembre 1989, n. 413, convertito con
 modificazioni dalla legge  28  febbraio  1990  n.  37)  correttamente
 l'amministrazione (con la circolare impugnata con il secondo ricorso)
 ha   individuato  i  destinatari  della  disposizione  nel  personale
 dirigente  civile  delle  amministrazioni  dello  Stato  cui  trovino
 applicazione  le  norme  del t.u. n. 1092/1973, in servizio alla data
 del 1 ottobre 1974 ed ancora in servizio  alla  data  di  entrata  in
 vigore  del  d.-l.  n.  413/1989  (31  dicembre  1989),  salvo quanto
 disposto dall'art. 10, sesto comma, del d.-l. n. 357/1989  convertito
 con modificazioni nella legge n. 417/1989.
    4.  -  Osserva  peraltro il collegio che la posizione dell'attuale
 ricorrente, cosi' come definita sulla base  del  t.u.  del  1973  era
 ancora  sub  indice  all'atto  dell'entrata  in  vigore  della  nuova
 disciplina  che  ha  introdotto  un  trattamento   sperequativo   dei
 dirigenti  in servizio alla data del 1 ottobre 1974, favorendo quanti
 erano ancora in servizio alla data del 31 dicembre 1989, rispetto  ai
 dirigenti statali che, anche per poco, a tale data avevano cessato di
 essere in servizio.
    Essa  pertanto, qualora trovasse soluzione favorevole la questione
 di legittimita'  costituzionale  sollevata  con  la  citata  memoria,
 sarebbe  suscettibile  di  essere  regolata  dallo  ius  superveniens
 scaturente   dalla   eventuale   sentenza   additiva   della    Corte
 costituzionale.
    Una   siffatta  considerazione  induce  a  ritenere  rilevante  la
 questione anzidetta la quale, come e' noto puo'  essere  proposta  in
 ogni  stato e grado del giudizio, senza che rilevi, in relazione alle
 censure proposte con il secondo dei ricorsi in esame, la  circostanza
 che  il vizio di legittimita' costituzionale si appalesi proposto per
 la  prima  volta  con  la  memoria  non  notificata,  trattandosi  di
 questione   che,   in   relazione  alla  norma  invocata  a  sostegno
 dell'impugnazione puo' anche  essere  rilevata  d'ufficio  e  la  cui
 soluzione  e'  destinata comunque a riflettersi sull'uno e sull'altro
 dei ricorsi in esame, in senso favorevole per l'attuale ricorrente.
    5. - Cio' premesso, ritiene il collegio che delle due questioni di
 legittimita' costituzionale rilevanti nei giudizi de quibus la  prima
 (illegittimita'  dell'art.  4 della legge 15 febbraio 1958, n. 46 e 4
 del t.u. 29 dicembre 1973, n. 1092, in relazione agli artt.  3  e  97
 della   Costituzione)  debba  dichiararsi  manifestamente  infondata,
 mentre la seconda (illegittimita' costituzionale dell'art.  1,  comma
 4-quinquies  del  d.-l.  7 dicembre 1989, n. 413, come convertito con
 modificazioni dalla legge 27 dicembre 1989, n. 413, in relazione agli
 artt. 3, 36 e 97 della Costituzione) debba essere rimessa alla  Corte
 costituzionale,  essendo  non manifestamente infondato il sospetto di
 incostituzionalita' avanzato dal ricorrente  e  comunque  formulabile
 d'ufficio.
    6.1.  - Quanto alla prima questione osserva il collegio che appare
 del tutto ragionevole che l'art. 4 della legge 15 febbraio  1958,  n.
 46,  nel  modificare  il  regime giuridico delle pensioni ordinarie a
 carico dello Stato abbia posto una disciplina transitoria di  maggior
 favore, quanto al limite di eta', per un ristretto numero di soggetti
 costituito  da  dipendenti ormai prossimi al collocamento a riposo, i
 quali avevano fatto affidamento sulla possibilita' di  conseguire  un
 determinato  trattamento  pensionistico,  ed in vista di cio' avevano
 organizzato in massima  parte  le  proprie  economie  ed  il  proprio
 personale  regime  di  vita  e  di  lavoro.  In  tal  senso,  nessuna
 sperequazione puo' ravvisarsi fra  tale  categoria  di  dipendenti  e
 quanti,  viceversa  (come  l'attuale  ricorrente), avessero invece da
 poco iniziato a prestare la propria attivita' alle  dipendenze  delle
 amministrazioni  statali  e  fossero  pertanto  in  grado  di dare un
 diverso tipo di organizzazione alla propria esistenza, anche per  gli
 aspetti economici connessi alla cessazione dal servizio.
    6.2.   -   Per   diverse   considerazioni   ritiene   il  collegio
 manifestamente  infondata  anche   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  4  del  t.u.  del 1973, seguendo anche, in
 cio', l'insegnamento della Corte costituzionale.
    Appartiene infatti alla discrezionalita' del legislatore stabilire
 trattamenti   privilegiati   per   categorie   omogenee  di  pubblici
 dipendenti. E, pertanto, l'art. 4 del t.u. 29 dicembre 1973, n. 1092,
 nella  parte  in  cui  mantiene  in  vita  "le  norme   vigenti   che
 stabiliscono  limiti  fissi  di  eta' per il collocamento a riposo di
 dipendenti  civili  dello  Stato  che  appartengono   a   particolari
 categorie  e  quelle che stabiliscono per il personale insegnante una
 particolare decorrenza della cessazione dal servizio nonche' le norme
 che prevedono il trattenimento in servizio dopo il raggiungimento dei
 limiti fissi di eta'" (art. 4, quarto comma, t.u. cit.) non si presta
 al sospetto di contrasto con gli artt. 3  e  97  della  Costituzione,
 trattandosi  di disposizione che trova la sua ragione di essere nella
 particolarita' delle situazioni disciplinate dalle norme  speciali  e
 che  non consente accostamenti di alcun genere fra la generalita' dei
 soggetti cui si indirizzano i  primi  due  commi  dell'art.  4  e  le
 categorie particolari destinatarie delle norme di favore.
    7. - A diverse riflessioni induce la normativa contenuta nell'art.
 1,  comma  4-quinquies, del d.-l. 7 dicembre 1989, n. 413, piu' volte
 citato.
    La norma ha avuto, come e' logico ritenere, un intento perequativo
 nei confronti dei dirigenti dello  Stato  in  rapporto  al  personale
 ispettivo,  direttivo, docente e non docente della scuola in servizio
 alla data del 1 ottobre 1974.
    In favore di quest'ultima categoria  infatti  la  legge  3  luglio
 1973,  n.  477  (art.  15,  secondo  e  terzo  comma) ha stabilito la
 possibilita'  di  rimanere  in  servizio  oltre  il  compimento   del
 sessantacinquesimo  anno  di  eta' (e non oltre quello del compimento
 del settantesimo anno di eta') al fine di conseguire  il  trattamento
 massimo  o  minimo  della  pensione  o un trattamento piu' favorevole
 oltre il minimo (cfr. Corte costituzionale 9 luglio 1986, n. 207,  in
 Gazzetta  Ufficiale  n.  38 del 1 agosto 1986) salvo quanto precisato
 dall'art. 10, sesto comma, del  d.-l.  n.  357/1989  convertito,  con
 modificazioni,  dalla  legge  n. 417/1989, circa il servizio utile da
 prendere in considerazione per i fini che qui interessano.
    Ora non puo' non  vedersi  come  tale  intento  perequativo  resti
 frustato,  all'interno  della  stessa  categoria dei dirigenti che il
 legislatore  ha  inteso  beneficiare,   attraverso   la   limitazione
 derivante  dalla  decorrenza  impressa alla disposizione medesima (31
 dicembre 1989), decorrenza che taglia fuori dal beneficio gran  parte
 dei  dipendenti  in  servizio il 1 ottobre 1974, cosi' da fare, della
 norma di favore, quasi un  provvedimento  ad  personam,  a  beneficio
 esclusivo  di  pochi  eletti,  senza che nulla giustifichi, sul piano
 della  identita'  delle  posizioni,  dei  bisogni  di   vita,   delle
 aspettative,  la  diversita'  di  trattamento  rispetto  a quanti, in
 qualita' di dirigenti, abbiano compiuto il sessantacinquesimo anno di
 eta' anteriormente (anche se di poco) al 31 dicembre 1989.
    Il collegio non condivide  la  tesi  del  ricorrente  secondo  cui
 l'attuale  sistema  normativo  sarebbe  nelle linee comuni e generali
 orientato nel senso del diritto al mantenimento in servizio  fino  al
 conseguimento  del  massimo  della  pensione,  quale  che  sia l'eta'
 dell'interessato e comunque fino  e  non  oltre,  il  compimento  del
 settantesimo anno di eta'.
    Al  contrario  sussistano ancora, nel vigente ordinamento, sistemi
 differenziati  che  trovano  ragion  d'essere  nelle   particolarita'
 proprie   delle   situazioni  variamente  disciplinate  con  speciale
 normativa di favore.
    Nella specie il sospetto  di  illegittimita'  costituzionale  alla
 stregua  degli  artt.  3  e  97 (e non anche dell'art. 36 irrilevante
 nella  fattispecie)  nasce  dalla   impossibilita'   di   individuare
 all'interno della stessa categoria dei dirigenti statali cui la norma
 si  indirizza  (quelli  in  servizio  al  1  ottobre  1974)  elementi
 differenziati che lascino  intravedere  una  ragionevole  spiegazione
 della  disparita'  di  trattamento  fra  coloro che hanno compiuto il
 sessantacinquesimo anno di eta' prima del 31 dicembre 1989  e  quanti
 abbiano   raggiunto   tale  limite  successivamente,  tale  cioe'  da
 giustificare soltanto per i secondi  e  non  anche  per  i  primi  il
 trattenimento   in  servizio  al  fine  di  far  loro  conseguire  il
 trattamento  pensionistico   piu'   favorevole.   A   meno   che   la
 giustificazione   non   debba   farsi   risiedere   nell'esigenza  di
 contenimento della spesa pubblica.
    Ma e' piu' che evidente, in tal caso, che  nessuna  particolarita'
 delle  situazioni  soggettive  e' idonea a rendere ragione del limite
 posto alla operativita' della disciplina di  favore  che  cosi'  come
 congegnata finirebbe col fare, dell'atto legislativo, una sostanziale
 elargizione  ad  personam, per pochi eletti, per nessun'altra ragione
 piu' meritoria se non per essere piu' giovani. Ma cio'  appare  tanto
 piu' incongruente ove si consideri che per gli uni e per gli altri il
 piano  economico  personale,  per cio' che concerne la cessazione dal
 servizio si  e'  svolto  sulla  previsione  del  limite  massimo  del
 sessantacinquesimo   anno  di  eta'  mentre  del  tutto  identici  si
 prospettano, su un piano generale, i meriti connessi  alla  posizione
 di  carriera  e  di  servizio,  le  analogie con altre categorie gia'
 beneficiate   nel   medesimo   senso,   le    difficolta'    connesse
 all'allungamento  della  vita  media in relazione alla cessazione dal
 servizio in  rapporto  alla  opportunita'  di  garantire  il  miglior
 trattamento pensionistico e di quiescenza.
    Il  collegio  pertanto  deve  condividere  e  per quel che occorre
 formulare  autonomamente  d'ufficio  il  sospetto  di  illegittimita'
 costituzionale  della  norma  sotto il profilo della violazione degli
 artt. 3 e 97 della Costituzione,  nella  parte  in  cui  esclude  dal
 beneficio  i dirigenti che, in servizio alla data del 1 ottobre 1974,
 abbiano compiuto il sessantacinquesimo anteriormente alla entrata  in
 vigore  della  suddetta norma incriminata, senza peraltro aver potuto
 conseguire il massimo del trattamento  pensionistico,  e  senza  che,
 d'altra  parte,  le  posizioni  di  quiescenza risultino definite per
 l'acquiescenza prestata dagli interessati ai pregressi provvedimenti.
    8. -  Per  tali  aspetti,  destinati  a  riflettersi  sui  ricorsi
 all'esame del collegio i giudizi relativi devono essere sospesi e gli
 atti  devono essere rimessi alla Corte costituzionale per il giudizio
 di legittimita' costituzionale di cui trattasi.